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Letizia Destefanis

Lo stile severo dei “Bronzi di Riace”

Subito dopo la distruzione dell’acropoli di Atene da parte delle truppe persiane nel 480 a.C. la critica d’arte individua un carattere  comune delle opere scultoree prodotte nei trent’anni successivi. La definizione è “stile severo”, caratterizzato da una maggiore espressività sia anatomica che del movimento, ed è stato introdotto dallo storico d’arte tedesco Johann Joachim Winckelmann (1717 - 1768).

Lasciati la raffinatezza del tardoarcaismo, i canoni tradizionali, la padronanza anatomica e gli espedienti espressivi ormai collaudati come i sorrisi e le acconciature, gli artisti ricercano una resa migliore dei movimenti oltre a nuove tecniche di fusione dei bronzi, come ad esempio la fusione a cera persa, ossia la creazione di un modello in cera con la possibilità durante la colata del bronzo di creare statue cave e quindi più leggere e trasportabili. 

Statua in bronzo di “Zeus di capo Atemisio”

Immagine presa da Wikipedia. Statua in bronzo di “Zeus di capo Atemisio”

Il linguaggio dello stile severo divenne più uniforme rispetto agli stili precedenti, quindi non ci furono sostanziali differenze in base alla regione di provenienza degli artisti.

Molti artisti rimasero anonimi, citati solo nelle fonti, ma tra quelli conosciuti ci sono sicuramente Crizio e Nesiòte, Calàmide e Mirone, ma non sono certi gli scultori celebrati come Pitagora di Reggio o Agelada di Argo. Restano di artisti  anonimi invece le opere come “Zeus di capo Atemisio”, “L’Auriga vincitore” e i “Bronzi di Riace”.

Foto del recupero di uno dei "Bronzi di Riace"

Immagine presa dal Corriere della Calabria. Foto del recupero di uno dei "Bronzi di Riace"

E’ l’agosto nel 1972, Stefano Marino, un sub dilettante romano, si tuffa nei pressi di Riace Marina e lì, sul fondale, a otto metri di profondità, vede spuntare uno dei bracci in bronzo. E’ così che vengono alla luce dopo millenni i “Bronzi di Riace” o “Gli eroi venuti dal mare”. Dai primi studi si attribuisce un’origine greca, molto probabilmente furono predati da una grande città e trasportati verso Roma, destinazione che non raggiungeranno mai.

I Bronzi rappresentano due guerrieri nudi, che dovevano avere nella mano destra una lancia e nella sinistra uno scudo. Il movimento, le proporzioni simili (sono alte circa due metri) e la stessa tecnica di fusione a cera persa dimostrano che i due appartengono allo stesso gruppo statuario, ma con alcune differenze. 

Foto del guerriero A, uno dei due "Bronzi di Riace"

Immagine presa da ArteSvelata. Foto del guerriero A, uno dei due "Bronzi di Riace"

Ad esempio il guerriero A raffigura un oplita, un uomo soldato greco, maturo, dalla folta barba, il capo scoperto e i lunghi capelli pettinati in ciocche ondulate. Le labbra leggermente schiuse mostrano denti in argento, in contrasto con il bronzo della statua.

Il guerriero B invece è un re guerriero, più anziano e meno energetico, il torso leggermente rientrante e la testa più inclinata in avanti. I capelli sono più corti e indossava sicuramente l’elmo, andato perso insieme alle lancie e agli scudi.

Capezzoli, labbra e ciglia sono stati prodotti in rame, mentre in calcite bianca la sclera degli occhi, in cui le iridi in pasta di vetro, un materiale prodotto con gli stessi ingredienti del vetro, e la caruncola lacrimale è fatta con una pietra rosa.

Le due statue  sono attribuite allo fase conclusiva dello stile severo, anticipando in qualche modo alcune soluzione di età classica, specialmente nella resa realistica delle muscolature, con queste premesse possono essere datate attorno al 460 e il 450 a.C. ed eseguiti dai maestri come Agelada oppure da un maestro classico agli esordi come Fidia o Mirone.

 Foto del guerriero B, uno dei due "Bronzi di Riace"

Immagine presa da ArteSvelata. Foto del guerriero B, uno dei due "Bronzi di Riace"

I “Bronzi di Riace” sono da subito stati portati al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, dove sono stati restaurati ed esposti in una sala appositamente studiata e si trovano tuttora li. Usati in pubblicità, in francobolli, impressi in lingotti,  i “Bronzi di Riace” sono diventati patrimonio culturale italiano e simbolo di un’Italia ricca di beni culturali che il mondo invidia.


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