È Jago, ossia Jacopo Cardillo, nato a Frosinone nel 1987, uno degli scultori italiani più giovane e conosciuti al mondo per l’uso che fa del marmo come materia per la sua arte, arrivando al pubblico attraverso i video e i social nel quale condivide il processo creativo. Diplomato al liceo artistico, ha lavorato in diversi paesi del mondo, perfino una masterclass alla New York Academy of Art, poco dopo la sua prima mostra nel 2016. Da quella data viene definito nel mondo dell’arte, “il nuovo Michelangelo”.
Foto presa da Arte in Campania. Jago (Jacopo Cardillo) con la sua statua "Venere" (2018)
C’è una sostanziale differenza simbolica tra “La pietà” (2021) di Jago e quella del Buonarroti, una differenza che corre di pari passo con i tempi che sono profondamente cambiati dal 1500 ad oggi. Se nella versione originale è la Madonna che mantiene il Cristo morto, con un'espressione rassegnata, per Jago è l’opposto. Un uomo, un padre, tiene tra le braccia un giovane dai lineamenti androgini (non vi è neanche il sesso) proprio per dimostrare che il dolore della perdita è indistinta, il dolore è dolore e con questo si allontana anche dalla visione prettamente cristiana della pietà. La scultura è esposta nella chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi di Napoli, dove si trova anche il suo laboratorio e museo.
Immagine presa da Arte Magazine. "La pietà" 2021, marmo, chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi di Napoli
In questo caso scopriamo anche la tecnica usata dall’artista per creare le impronte digitali e i segni della pelle, una caratteristica principale delle sue sculture. Una fresa con una punta molto fine che “graffia” il marmo già lavorato e levigato. Il realismo della pelle diventa fondamentale nella sua scultura “Papa Benedetto XVI" (2009) L’opera rappresenta il busto di Benedetto XVI prima che smettesse i panni da pontefice. Il busto gli è valso la medaglia pontificia nel 2009. “Il papa si è svestito” è questa affermazione di suo padre, a fargli avere l’illuminazione di prendere lo scalpello e iniziare a togliere l’abito al papa arrivando a rappresentare l’uomo dietro alla tonaca, arrivando a “Habemus hominem” (2016). Il processo è stato una svestizione, proprio come al contrario avviene durante la cerimonia di vestizione ed è stato ripreso dai filmati, unica prova insieme alle foto e al ricordo di chi l’ha vista personalmente, della scultura precedente. L’età dettata dalla magrezza, dalle rughe, si sprigiona nei segni sulla pelle di un realismo assoluto. Al momento la scultura è esposta a Bologna a Palazzo Albergati.
Immagine presa da Medium. Sulla sinistra “Papa Benedetto XVI" (2009) diventata poi “Habemus hominem” (2016) sulla destra, marmo, Palazzo Albergati, Bologna
Tantissime sono le sue opere, esposte anche in contesti del tutto nuovi; ad esempio il neonato chiamato “Look Down” (2019) in piazza Plebiscito oppure il “Cristo velato” (2019) nella basilica di San Severo fuori le mura a Napoli. È incredibile come vengono riprodotti i tessuti del velo e la pelle, come un materiale notoriamente duro come il marmo, attraverso il suo intervento diventa vivo e morbido. È il concetto di Jago: muoversi attraverso l’umanità dei sentimenti e dare vita ad un materiale che vita non ne ha. Osserva il marmo, lo studia, lo tocca proprio come i grandi maestri del passato e poi libera la sua vena artistica sprigionando le forme nella materia. Il simbolismo dietro al “Cristo velato” è semplice quanto profondo: si tratta del figlio di tutti, quella sofferenza gli impedisce di scoprirsi eppure, quel velo risulta uno scudo, una protezione contro tutto il male del mondo.
Immagine presa da Catacombe di Napoli. "Cristo velato”, 2019, marmo, basilica di San Severo fuori le mura a Napoli
Una delle opere più emotivamente bella, a mio parere, è” Prigioni” (2016). Per quest’opera, la sua compagna posa rannicchiata a terra con una mano sopra alla testa come per difendersi, ma anche per cercare aiuto. Jago scrive così sotto alla foto della sua opera:
“A volte capita di sentirmi così, costretto in una condizione di prigionia, chiuso all’interno di un corpo che mi rema contro con i propri desideri e l’unica cosa che posso fare in questi momenti è scolpire, me stesso”.
Jago
Ho letto molto su quest’opera, tanto da non riuscire a capire il vero significato, poi mi sono chiesta “cosa rappresenta?” È un momento, il buio, il terrore, è il momento della paura atavica, della solitudine, il punto più basso quando tendi la mano per aver aiuto e protezione allo stesso tempo, quando vuoi uscirne, ma hai bisogno del tuo involucro. Fondamentalmente è quello che proviamo tutti, almeno una volta nella vita e per quanto sia semplice e universale nel suo linguaggio, la ritengo più un sentimento che un'opera d’arte.
Immagine presa da Jago. "Prigioni" , 2016
Jago per quanto sia un artista giovane, contemporaneo, non si è fatto abbindolare dal consumismo, dal “no sense” di certa arte moderna. Lui mette l’umanità, i sentimenti, la realtà dei fatti nelle sue sculture, che lo differenziano ed elevano, portando l’osservatore a capire quello che vedono, a viverlo nel quotidiano e a entrare in relazione con l’artista.
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