Sebbene la poesia in Italia si sviluppa in ritardo rispetto alle altre regioni europee, nella prima metà del 1200 un gruppo sempre più consistente di poeti in volgare, si stabilisce alla corte di Federico II. Per lo più vengono dalla scuola siciliana, quella di Giacomo da Lentini ad esempio, in cui spicca su tutto il tema dell’amore cavalleresco tramandato dai trovatori, del tutto assente rimane invece il tema politico. Alla scuola siciliana sono legate molte conquiste formali consegnate poi alla letteratura dalla “generazione di mezzo”.
Immagine presa da Wikipedia. Giacomo da Lentini in una miniatura trecentesca
Verso la metà del 1200 la corte di Federico, itinerante, aveva favorito lo sviluppo di questa corrente letteraria anche nel centro Italia, in particolare in Toscana. Qui il “siciliano illustre” di Giacomo da Lentini venne lentamente toscanizzato, nella forma quindi del volgare come lo conosciamo noi oggi. In questa regione, la poesia si riapre al tema della politica grazie allo sviluppo dei comuni e della figura del poeta che, in quanto uomo di cultura, è chiamato a partecipare attivamente al governo della città. La poesia passa da essere una forma di svago a un mezzo di comunicazione alternativo alla prosa. Nascono così due filoni di pensiero: i cortesi, quelli che vogliono conservare i temi della scuola siciliana, come l’amore cortese e ne fanno parte Guido Guinizzelli e Bonagiunta Orbicciani che influenzeranno la nascita dello Stilnovismo (se vuoi leggere altro su questo argomenti, ti lascio il link https://lastanzaverde6.wixsite.com/lastanzaverde/post/tanto-gentile-e-onesta-pare-è-lo-stendardo-dello-stilnovismo-di-dante ). In contrapposizione ai cortesi, trovano spazio gli anticortesi o guittoniani, nome che deriva proprio dall’esponente principale ossia, Guittone d’Arezzo che critica pesantemente la tradizione provenzale.
Immagine presa da Atuttarte. Guittone d'Arezzo, ritratto postumo del 1560 circa, conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze
Guittone nacque ad Arezzo circa verso 1230, purtroppo non si hanno notizie precise sulla sua vita, ma si pensa che abbia frequentato l’ambiente universitario, lo deduciamo dai suoi scritti personali, dove si denota una grande cultura, anche se non profonda. All’interno della vita sociale del suo tempo sicuramente ricopriva un ruolo di rilievo, diverse infatti solo le canzoni e i sonetti scritti per le sconfitte o le vittorie politiche, ad esempio “Ahi lasso, or è stagion de doler tanto”, sulla sconfitta dei guelfi nel 1260.
La vita di Guittone d’Arezzo si divide in due: la prima va dagli esordi fino al 1260 e la seconda fino alla sua morte avvenuta nel 1294. Nella prima parte in lui esiste una visione dell’amore, anche se diversa da quella dei cortesi. Per lui l’esperienza sentimentale è negativa, una malattia dal quale guarire, perché rende gli uomini irrazionali e questa sua visione è tangibile anche nello stile che è chiuso (trobar clus), poco comprensibile con una metrica e una retorica molto complesse. Nel “Canzoniere” con i suoi 86 sonetti, di cui solo 24 arrivati fino a noi, Guittone d’Arezzo riduce l’amore al puro possesso fisico, la passione è in grado di annullare la razionalità.
Questo è palese nel sonetto “Villana donna” in cui l’innamorato che ha rispettato l’amore cortese, davanti al rifiuto della donna, reagisce, così essa diventa brutta, villana e altezzosa, insomma il poeta insulta la donna solo perché si è rifiutata di soddisfare un suo desiderio. È chiaro in questo caso, come l’amore per il poeta sia solo un atto carnale. Questo sonetto si compone di 14 versi in rima alterna, formati da endecasillabi. Questi sonetti vengono chiamati “Canzoniere” anche se sembrano più un manuale su come conquistare la fiducia “dell’amata” per poter arrivare alla soddisfazione sessuale, tant’è che è soprannominato “il manuale del libertino”. Questa visione è inconcepibile dagli stilnovisti: la cortesia viene scambiata come arma di seduzione che ha delle regole precise all’interno della società e che la nuova borghesia vuole seguire appropriandosi degli usi della nobiltà.
Villana donna, non mi ti disdire,
volendomi sprovar fin amadore:
ch’eo fin non son, ver s’ho talento dire,
néd essere vorrea, tant’hai ladore.
Ca, per averti a tutto meo desire,
eo non t’amara un giorno per amore,
ma chesta t’ho volendoti covrire,
ché più volere terriami disnore.
Ché tu se’ laida ’n semblanti e villana
e croia ’n dir e ’n far tutta stagione,
e se’ leggiadra ed altizzosa e strana,
ché ’n te noiosa noia è per ragione,
donna laida, che leggiadra se’ e vana
e croia, che d’alter’oppinïone.
"Villana donna" di Guittone d'Arezzo
Immagine presa da Wikipedia. Targa della residenza dei Frati Godenti a Firenze
La seconda parte della vita di Guittone d’Arezzo si apre con una crisi religiosa: rimanendo fermo nella sua idea anticortese, entra nell’ordine dei Frati Godenti, un ordine in cui potevano entrare anche i maritati senza abbracciare la vita claustrale. Sicuramente questa scelta era stata preceduta da una visione più rigida del cristianesimo, in cui però non rinuncia alla poesia, ma la trasforma. La metrica della canzone e del sonetto vengono usate per contenuti etici e dottrinali, allungandosi fino a diventare una specie di trattato in versi. Il linguaggio diventa ancora più chiuso e complesso anche se vuole aprirsi tramite nuovi argomenti, al pubblico. La morale cristiana ha preso il posto dell’etica cortese e il poeta attacca l’immortalità dell’ideologia in quanto fomentatrice di adulterio. Interessanti sono i sonetti “Altra fiata aggio già donne parlato” e “Ahi che bon m’è vedere ben patiente” entrambi sulla castità.
Immagine presa da Wikipedia. Raccolta di scritti di Guittone d'Arezzo pubblicate nel 1745
Nonostante tutto, talvolta lo trovo misogino, un uomo che ha una visione distorta dell’amore e delle donne, ma che a suo tempo ebbe molto successo per via del suo stile di fare poesia, il suo talento venne riconosciuto tanto da parlare di scuola guittoniana, diffusa tra i letterati di tutta la scena la toscana della seconda metà del ‘200.
Vorrei dedicare questo articolo al mio professore di letteratura italiana dell'università, Marco Santagata, mancato poco tempo fa. Grazie Prof!
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