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Letizia Destefanis

Eliografia, dagherrotipo, talbotipia, fotografia: un’evoluzione storica ed artistica

Se si pensa a quale invenzione ha cambiato completamente il modo di fare arte e che al giorno d’oggi è la base di alcuni lavori, quella è sicuramente la fotografia.

I primi esperimenti di camera oscura o stenopeica erano già stati condotti prima che Leonardo Da Vinci, nel 1515 descrisse l’uso di questo dispositivo nel suo “Codice Atlantico”. Esso consisteva nel creare una camera oscura nel quale veniva praticato un foro su un lato e sopra di esso, veniva posta una lente regolabile: sulla parete opposta era proiettata un'immagine fedele, ma capovolta del paesaggio o del soggetto esterno a questa camera stenopeica. Nei secoli successivi, specialmente nel regno unito, vengono svolti ulteriori studi a riguardo, fino ad arrivare ai primi decenni dell’800 in cui l’obiettivo non divenne solo la proiezione di un'immagine, ma riuscire a catturarla istantaneamente e a mantenerla inalterata nel tempo.

Illustrazione del funzionamento di una camera stenopeica

Immagine presa da Accademia torinese di fotografia. Illustrazione del funzionamento di una camera stenopeica

Durante il 1700 vennero studiati i materiali fotosensibili, che reagivano alla luce solare come ad esempio il nitrato d’argento. Scoperto il primo ingrediente per imprimere l’immagine, il successivo passaggio era il fissaggio della stessa su di un supporto, per questo intervenne, Joseph Nicèphore Nièpce, che si interessò alla fotografia nel primo decennio del 1800 e fu il primo ad elaborare un negativo all’interno di una camera oscura utilizzando un altro componente fotosensibile, il bitume di giudea, che, una volta esposto, indurisce alla luce, mentre la parte non colpita dalla stessa risulta solubile in olio di lavanda. Essendo una sostanza molto spessa, il bitume viene principalmente utilizzato per creare lastre da stampa, procedimento che prende il nome di eliografia su lastre di stagno. Misura solo 20 x 25 cm la prima fotografia scattata da Nièpce il 19 Agosto 1826 e ritrae la veduta dei tetti fuori dalla finestra del suo laboratorio.

"Vista dalla finestra di Le Gras", Joseph Nicèphore Nièpce, 19 Agosto 1826

Immagine presa da Wikipedia. "Vista dalla finestra di Le Gras", Joseph Nicèphore Nièpce, 19 Agosto 1826

Un successivo quesito riguardava la durata dell’esposizione, che poteva durare fino a otto ore e che all’esterno, a causa del cambiamento della luce naturale durante il giorno, creava immagini irreali, mentre al chiuso, le eliografie iniziarono ad essere sviluppate anche su lastre di vetro, che però rendevano molto fragile tutto il processo. Nièpce in viaggio a Londra, dal fratello, incontrò Louis Jacques Mandé Daguerre, un pittore parigino conosciuto per i suoi diorami, ossia teatrini in miniatura, completi di giochi di luce, ma ancora di più per essere il padre del dagherrotipo. Inventato nel 1837, era una tecnica che consisteva in una lastra di rame sul quale veniva applicato uno strato d’argento e fotosensibilizzata dai vapori di iodio, la lastra doveva essere esposta entro un'ora e per un periodo fino a 15 minuti, infine il fissaggio avveniva con una soluzione di tiosolfato di sodio. La fragilità dell’immagine ottenuta creò un ulteriore problema da risolvere, tant’è che il metodo per conservare un dagherrotipo era quello di rinchiuderlo in una scatola di legno, rivestita in velluto e prestare la massima attenzione nel maneggiarlo. È proprio grazie ad un dagherrotipo scattato nella primavera del 1837, che abbiamo la prima fotografia di un uomo: l’esposizione durata più di 10 minuti non ha permesso di immortalare tutto il fermento del Boulevard du Temple parigino, se non per un uomo che si stava facendo lucidare le scarpe ed è stato fermo per almeno 10 minuti.

"Boulevard du Temple, Parigi", Louis Jacques Mandé Daguerre, 1837

Immagine presa da Wikipedia. "Boulevard du Temple, Parigi", Louis Jacques Mandé Daguerre, 1837

Solo due anni dopo William Fox Talbot rese noto il suo metodo che non era altro che un foglio di carta immerso in sale da cucina e nitrato d’argento, una volta asciugato, venivano posti sopra piccoli oggetti come foglie e piume, ed infine esposto alla luce. Sul foglio compariva il negativo e con un ulteriore foglio semi trasparente sopra, si otteneva il positivo. La soluzione di sale e ioduro di potassio rallentava il processo di dissoluzione dell’immagine: era nata la talbotipia o calotipia e fu presentata nel 1839 alla Royal Society, un’associazione scientifica britannica, nel quale rivendicò la scoperta come antecedente a di quella di Daguerre, che poi utilizzerà questo procedimento, migliorando le sostanze chimiche impiegate. La prima coppia di negativo e positivo l’abbiamo proprio grazie alla talbotipia: si tratta di una foto di una finestra della residenza di Talbot scattata nell’Agosto del 1835 su una lastra di 6x6 cm circa, dal quale è stato possibile ottenere una foto di dimensione normale e positiva.

"Latticed Window", William Fox Talbot, 1835, National Museum of Photography, Film and Television collection

Immagine presa da Wikipedia. "Latticed Window", William Fox Talbot, 1835, National Museum of Photography, Film and Television collection

Il processo di sviluppo si velocizzò grazie a Frederick Scott Archer che nel 1851 introdusse le lastre in negativo stampate su carte albumate, in pratica, con la base in albume d’uovo e al collodio che, esposte ancora umide e sviluppate immediatamente, permettevano una consegna velocissima al cliente. Grazie a questo procedimento nel 1860, in un laboratorio in Scozia, furono sviluppate più di 3000 foto in un solo giorno.

Nel 1871 le lastre in gelatina secca, sostituirono quelle al collodio umido e solo quattro anni dopo si iniziò la produzione industriale che rese la fotografia accessibile anche alle persone non addette ai lavori.

La seconda metà dell'800 era il momento giusto per un nuovo approccio alla fotografia: i materiali erano migliorati e ne erano apparsi altri, più veloci, che rendevano la fotografia di paesaggi diversa da quella vista fino a quel momento. Successivamente i protagonisti della fotografia furono i ritratti, dapprima su dagherrotipo che essendo su lastra rendevano l’immagine leggermente più resistente rispetto al foglio di carta usato nella talbotipia, intanto nascevano i primi artisti fotografi e con loro anche le prime visioni discordanti sull’uso della fotografia come elemento artistico. I primi a scontrarsi furono: Henry Peach Robinson (1830 – 1901) che si appassionò a tal punto della fotografia da aprire un laboratorio e si occupò principalmente del ritocco fotografico, ma insoddisfatto della resa delle pellicole, utilizzò, principalmente per il paesaggio, la doppia esposizione. Pubblicò anche un libro sugli effetti pittorici che si potevano dare alle foto e fu condannato da Peter Henry Emerson (1856 – 1936), il quale lasciò gli studi in medicina per dedicarsi solo ed esclusivamente alla fotografia, ma che non amava questo tipo di fotografia 'forzata' e vedeva questo approccio come un inutile e insensato tentativo di arrestare lo sviluppo della fotografia, emulando gli stili della pittura. Non mancarono le artiste femminili come Julia Margaret Cameron (1815-1879) che non rispecchiava i canoni di Emerson, ma amava così tanto la fotografia, sino al punto di arrivare a seguire personalmente le varie fasi, dalla ripresa allo sviluppo. La sua fotografia è studiata, i soggetti sono in posa e spesso lei stessa è modella e fotografa.

"Autoritratto", Julia Margaret Cameron, 1870

Immagine presa da Wikipedia. "Autoritratto", Julia Margaret Cameron, 1870

Un altro artista e amico dei più famosi personaggi dell’epoca è Nadar (1820 – 1910) ricercato dagli artisti (la foto più conosciuta di Baudelaire è proprio un suo scatto) e dalle principali personalità di spicco, che gli chiedevano ritratti unici, in quanto egli parlava con il soggetto, lo studiava, lo conosceva, lo metteva in posa per riprendere la sua anima. È nel suo studio di Parigi che avviene la prima mostra, degli allora sconosciuti impressionisti. I progressi nella fotografia oltre ad essere velocissimi, con una serie di studi che nulla hanno da togliere ad altre scoperte storiche, danno il via a nuovi generi artistici, a nuovi lavori, nuovi metodi di documentazione e fare giornalismo con la nascita dei primi giornali illustrati, sono noti i reportage di guerra di Robert Capa (1913 - 1954).

"Morte di un miliziano, Cerromuriano Cordoba, 5 Settembre 1936", Robert Capa

Immagine presa da Sky arte. "Morte di un miliziano, Cerromuriano Cordoba, 5 Settembre 1936", Robert Capa

Anche gli strumenti ottici fanno dei cambiamenti rivoluzionari: se si pensa che bisognava avere una camera oscura fissa per lo sviluppo, per poi passare ad un mobile durante i reportage nella guerra di secessione americana, arrivando alle polaroid degli anni ‘40 e per finire con la nascita dei selfie fatti con le fotocamere ultramoderne all’interno degli smartphone.


Nel 1884 è grazie alla Kodak, che sviluppò la prima macchina fotografica, con un rullino avvolgibile fotosensibile, che consentiva circa cento scatti, che nasce la fotografia analogica, lontana da quella digitale: la prima veniva stampata su carta fotografica attraverso il precedente sviluppo dei negativi del rullino in una camera oscura, nella seconda invece, non c’è il passaggio dei negativi e le foto sono replicabili sia su carta che su schermo o il qualsiasi altro supporto, ma sebbene l'archiviazione del digitale è molto più semplice, la stampa di quest’ultimo risulta meno duratura per via del fissaggio dell’immagine che è quasi nullo, mentre nell’analogica ci sono ancora i bagni in acidi e la qualità finale risulta migliore.

 Esempio del processo sviluppo forografico in camera oscura

Immagine presa da Branco Ottico. Esempio del processo sviluppo forografico in camera oscura

IIn conclusione possiamo dire che la fotografia non è una scoperta tra tante, ma è quella che ha cambiato il modo di vedere le cose: è un metodo di comunicazione chiaro, leggibile per tutti, documenta i cambiamenti, la storia, i momenti salienti ed infine è arte, le espressioni che possono trovare forma attraverso le foto sono tantissime e sebbene al giorno d’oggi non ci facciamo caso, se proviamo ad eliminare la fotografia dalle nostre vite, non esisterebbero i social, come Instagram, non esisterebbero i giornali di gossip, i fotografi, e un elenco lunghissimo di altre cose.


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