“Non posso cambiare il fatto che i miei quadri non vendono. Ma verrà il giorno in cui la gente riconoscerà che valgono più del valore dei colori usati nel quadro.”
Vincent Van Gogh
La seconda metà dell’800, nella maggior parte dell'Europa, segna l’inizio della seconda rivoluzione industriale con innovazioni scientifiche e tecnologiche che cambiano la vita quotidiana, specialmente nelle grandi città. Diverso è nelle campagne, come quelle che vedono la nascita di uno degli artisti più amati e tormentati di tutto l’800: Vincent Van Gogh. L’artista viene al mondo il 30 marzo del 1853, nella piccola comunità di Groot Zundert nei Paesi Bassi. Il suo giorno di nascita corrisponde a quello della nascita e morte del suo fratellino, nell’anno precedente, da cui prenderà il nome e che molto probabilmente segnerà il suo destino per tutta la sua vita. Con il fratello minore Theo, Vincent avrà sempre un rapporto speciale, non solo perché lo finanzia nella sua carriera artistica, ma anche dal punto di vista emotivo: sono oltre seicento le lettere che l’artista scrive al fratello confidandogli i segreti della sua arte e della sua mente e rimangono pressoché l’unica guida alla lettura interiore dell’uomo e dell’artista.
Immagine presa da La capanna del silenzio. Ritratto fotografico di Vincent Van Gogh a diciannove anni
A sedici anni, l’artista, riesce a trovare impiego presso la casa d’aste Gaupie a l’Aja, grazie ad uno zio paterno. Qui il giovane Vincent viene a contatto per la prima volta con l’arte. Successivamente si sposta nella filiale inglese di Londra e solo nel 1875 nella sede parigina. Il percorso di studi di Van Gogh lo porta verso la teologia, spinto anche dal padre, ma che abbandona per frequentare la scuola evangelica. Nominato evangelizzatore, si dedica alla predicazione ai poveri e abbraccia la causa dei minatori del Borinage: essi diventano i protagonisti dei suoi primi schizzi da autodidatta. Licenziato per lo slancio che aveva preso la sua predicazione, troppo emotiva, si dedica alla letteratura sociale e inizia a frequentare lezioni di anatomia, disegno e prospettiva.
Il suo turbamento per i drammi esistenziali dei poveri sono visibili nel suo dipinto di esordio “I mangiatori di patate” (1885). Il realismo sociale si esprime attraverso la resa dei personaggi: le espressioni e i tratti del viso sono grotteschi e rispecchiano la durezza della vita nei campi e la stanchezza fisica. I colori sono scuri, materici e le pennellate pesanti ne delineano la forte sensibilità dell’artista nei confronti di questi poveri contadini.
Immagine presa da Wikipedia. "I mangiatori di patate", 1885, Museo Van Gogh, Amsterdam
Nel 1885 soggiorna a Parigi dal fratello Theo e conosce gli impressionisti Toulouse-Lautrec, Seurat e Gauguin, con quest’ultimo, stringerà una forte amicizia che li vedrà convivere per nove settimane nel sud della Francia, sperimentando nuove tecniche e dipingendo en plein air (all’aria aperta) fino ad arrivare ad una tragica fine del loro rapporto. A Parigi, Vincent scopre il colore e la sperimentazione: il cambiamento è visibile nell’ “Autoritratto” (1887) in cui il centro del dipinto sono gli occhi, inquieti, dal quale si irradiano le pennellate visibili, materiche. Il nero è ridotto al minimo e i colori illuminano la tela.
Immagine presa da Wikipedia. "Autoritratto", 1887, Museo Van Gogh, Amsterdam
Già citato sopra, Paul Gauguin diventa il mentore di Van Gogh dal quale prende spunto per una pittura più formale, meno emotiva ed inizia ad appassionarsi all’arte giapponese del maestro Katsushika Hokusai (Tokyo, 1760 - 1849). Simbolo dell’amicizia con Gauguin sono la serie dei girasoli (1888) in cui il giallo diventa il colore primario, il colore del sole, che nutre questo fiore che diventa il più amato da Van Gogh. I fiori sembrano vivi e rappresentano la ricchezza mentre, il vaso è semplice, banale e dalla forma tonda, simbolo di abbondanza. Ad Arles nel 1888 si consuma l’amicizia con Paul, il quale stanco delle continue discussioni lo lascia per incompatibilità caratteriale e Vincent in preda alla prima e violenta crisi psichica, si taglia l’orecchio con un rasoio, diventando il gesto leggendario con cui è conosciuto. La fasciatura è ben visibile nell’ “Autoritratto con orecchio bendato” (1889) in cui il giallo ancora una volta è il colore dominante, ma gli occhi iniziano a perdersi nei deliri e non guardando più l’osservatore.
Immagine presa da Wikipedia. "Autoritratto con orecchio bendato", 1889, Courtauld Gallery, Londra
L’episodio in cui l’artista si taglia il lobo, spinse la polizia locale a farlo ricoverare nell’antico ospedale di Arles dove riuscì a superare quei giorni critici. Ancora oggi non ci è dato di sapere di quale malattia soffrisse effettivamente; si pensa alla schizofrenia, il disturbo bipolare, gli effetti della sifilide o dell’alcool, o ancora all’avvelenamento da ingestione di vernici al piombo, oppure, la porfiria, una malattia ereditaria, condizione abbastanza plausibile, se si pensa alla demenza che verrà diagnosticata al fratello Theo. La prima degenza non fu lunga, ma una volta libero l’artista alterna momenti di lucidità a momenti di crisi che spinsero gli abitanti a richiederne l’internamento in manicomio. Van Gogh conscio di star male, si fece ricoverare volontariamente all’ospedale psichiatrico di Saint-Rèmy de Provence, poco distante da Arles. Per sua fortuna, la clinica non praticava alcuna cura (o tortura visto lo sviluppo della psicologia di quegli anni) ai pazienti e anzi, all’artista fu permesso di continuare dipingere sia dentro che fuori la struttura, con la supervisione di un addetto, ovviamente. La mancanza dell’attività artistica, causava un forte malessere a Vincent, fino ad arrivare alle crisi psicotiche.
Immagine presa da Wikipedia. “La notte stellata”, 1889, Museum of Modern Art, New York
I tormenti dell’artista esplodono nel quadro “La notte stellata” (1889), una contraddizione se pensiamo che le stelle sono visibili solo con il cielo sereno. Le luci delle stesse creano dei vortici circolari che rappresentano i tormenti interiori che diventano portali nel cielo. Gli alberi in primo piano hanno la forma di una fiamma di color nero, di fianco è visibile una tipica città del nord Europa, con i focolari all’interno delle case accesi, che rappresentano la famiglia. Ci sono pochi elementi appuntiti e le onde di colore creano sensazioni bellissime nell’osservatore mentre, per Van Gogh rappresentano la voglia di andare avanti anche se angosciato.
“Ciò che desidero, è che tutto sia circolare e che non ci sia, per così dire, né inizio né fine nella forma, ma che essa dia, invece, l'idea di un insieme armonioso, quello della vita.”
Vincent Van Gogh
Gli attacchi allucinatori continuarono e l’atmosfera drammatica del manicomio lo portarono a tentare il suicidio per la prima volta, ingerendo i colori ad olio, che da quel momento gli vengono vietati. Prima di spostarsi a Parigi dal fratello, che nel frattempo si era sposato e aveva avuto un figlio (che chiamerà Vincent in onore al fratello) dipinge “La ronda dei carcerati” (1890): un dipinto che esprime tutta la realtà dei manicomi, in cui gli uomini appaiono come manichini senza volto che marciano in cerchio, tranne l’artista che spezza questo cerchio e guarda in faccia all’osservatore. Da Parigi si sposta ad Auvers sur Oise, poco distante, da un amico di Theo e medico che lo prende in cura.
Immagine presa da Wikipedia. “La ronda dei carcerati”. 1890, Museo Puškin, Mosca
Sulla sua morte si sa molto per quanto riguarda lo svolgimento, ma si sa nulla o quasi sulla motivazione che lo hanno spinto a spararsi allo stomaco nelle campagne per poi tornare al suo alloggio, dove il medico che lo ospitava, non riuscendo ad estrarre il proiettile, si limitò a curarlo. Dopo aver confessato che il suicidio era sempre stato il suo intento perché “la tristezza non avrà mai fine” (Vincent Van Gogh) al fratello Theo, giunto da Parigi, morì, soffocato dalle complicanze il 29 luglio 1890.
Immagine presa da Wikipedia. Foto della tomba dei fratelli Vincent e Theo Van Gogh nel cimitero di Auvers sur Oise
La bara fu ricoperta di fiori e girasoli, che lui amava particolarmente e fu una cerimonia intima. Per quanto riguarda il fratello Theo, distrutto dal dolore della perdita fu ricoverato per malattia mentale dove morì a sei mesi di distanza dal fratello. Per volere di Johanna, la moglie di Theo, i due furono sepolti vicini, con un rametto di edera tra le due lapidi, la stessa edera che ancora oggi li unisce.
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